Teatro

Un servo è un servo… una puttana è una puttana!

Un servo è un servo… una puttana è una puttana!

Lorenzo Montanini rilegge la Miss Julia di Strindberg con un profondo rispetto dello spirito del testo dell'autore.

Il tema dell’ascesa o della decadenza sociale, di chi sta sopra e di chi sta sotto, chi è migliore e chi è peggiore, dell’uomo o della donna, è, è stato e continuerà ad essere di sempre vivo interesse”, così si esprime Strindberg a proposito del soggetto della Signorina Julie nella prefazione al dramma del 1888. Da qualche parte in quell’abisso qualunquista che può essere la rete, in quell’anarchico, impune serbatoio di gratuità intellettuale dato alla luce dalle ooteche di centinaia di migliaia di feconde e superciliose rubriche teatrali si possono scovare ameni commenti che inopinatamente e in barba alla volontà stessa del povero defunto autore leggono il personaggio di Julie come una creatura in lotta contro il potere degli uomini di decidere il destino delle donne. Una sorta di eroina femminista, dunque, in perfetta linea con i modelli muliebri positivistici di stampo zoliano e ibseniano.

Una lettura di questo tipo, oltre a risultare inappropriata per l’opera di Strindberg, risulta semplicistica e fuorviante anche per la trasposizione della pièce fatta da Lorenzo Montanini: la Miss Julia andata in scena presso Galleria Toledo per il Napoli Teatro Festival. Il lavoro di Montanini sembra essere costruito, infatti, proprio su di un profondo rispetto dello spirito del testo dell’autore svedese, in sostanza, su quella fondamentale, irriducibile dialettica tra un avanzo marcescente di un vecchio ceto nobiliare in decadenza e un campione della “nuova nobiltà del sistema nervoso e dei grandi cervelli”. Che poi l’elemento sociale necrotico venga a coincidere con il femminino e quello cinicamente salubre e forte con il mascolino non è cosa di poco conto se si tiene conto del fatto che proprio negli anni di Signorina Julie si consuma l’ultimo atto della burrascosa relazione tra Siri e August Strindberg. La fine della storia con l’attrice svedese determina nello scrittore un inasprirsi della polemica antifemminista e la conseguente concezione sempre più pessimistica del rapporto tra i sessi. Dunque conflitto sociale e di genere si intrecciano inscindibilmente tanto nella vicenda di Julie quanto in quella di Julia.

Alcuni degli elementi scenici poi e delle soluzioni drammaturgiche presenti nel lavoro di Montanini sono frutto spesso della patente volontà del regista di far risolutamente deflagrare suggestioni già presenti seppur in nuce nel testo originale o di rovesciarne apparentemente il segno. Verbi gratia, l’utilizzo di attori di nazionalità diversa e quindi l’impostazione formale del conflitto di base tra uomo e donna, servo e padrona su di un’opposizione linguistica, in cui la nobildonna parla inglese e il servo spagnolo, non fanno altro che prendere spunto - per poi amplificarne in maniera suggestiva la portata scenica - da un passaggio del dramma di Strindberg in cui Julie e Jean si scambiano una serie di battute in francese: lingua della nobiltà europea dell’epoca. Sul piano strettamente scenico, invece, la decisione di incastonare l’azione drammatica tra due platee, una disposta nel suo consueto alveo, l’altra creata a bella posta alle spalle degli attori risponde all’urgenza di assolutizzare il testo, di esorcizzarne la componente mimetica in chiara opposizione, sembrerebbe, a quelle che erano le intenzioni dell’autore, il quale nella summenzionata prefazione al testo chiedeva, in nome di un maggior realismo teatrale, eliminazione della ribalta e utilizzo di praticabili e utensili reali al prosto di quelli dipinti tromp l’oeil. Tuttavia sul sedicente naturalismo di Strindberg va fatta una precisazione importante: difatti, nonostante le sue richieste di verosimiglianza scenica e psicologica, malgrado finanche l’ostentata applicazione del principio di causa/effetto all’agire dei suoi personaggi, la sensazione di paradossalità e gratuità della vicenda narrata non abbandona mai il lettore, a tratti precipitato in una densa atmosfera di disagio e smarrimento. Questo carattere dell’opera dell’autore svedese è perfettamente incarnato dalla interpretazione coreutico/funambolica degli attori di Montanini. Sul loro fazzoletto di palcoscenico, adoperando un tavolo montato su ruote e un paio di sedie in legno, essi disegnano il perimetro di un eterno, irrisolvibile, metafisico conflitto.